Queste fotografie sono un tentativo per capire cosa leghi davvero una città al cielo che la contiene. Sono un modo per indagare su cosa renda quel cielo unico, aldilà degli ovvi tratti meteorologici legati alla collocazione geografica. Un cielo generico e indeterminato, che si fissa al suo territorio attraverso i frammenti di architettura che vi restano impigliati. C'è quindi un cielo quasi sempre comune, quasi sempre diurno, privo dei momenti spettacolari che ne caratterizzano le transizioni quotidiane. Non ci sono albe, né ci sono tramonti. Non ci sono momenti inusuali, né arcobaleni; non ci sono tempeste o nuvole rare. C'è sempre quel che si può vedere in un giorno qualunque, in un momento qualunque, semplicemente alzando lo sguardo.
"Ogni tanto esco a guardare il cielo. Quando alzo la testa sono immediatamente solo. Se obbligo l'occhio al mirino della reflex, scompaiono anche i disturbi periferici. Non c'è più nessuno. Roma si fa deserta, tra moltitudini di persone.
Spesso mi isolo dal rumore, ascoltando musica, e allora resta soltanto lo sguardo a ricordarmi che sono nella mia città, anche se non ne vedo che alcuni frammenti sospesi. Quasi sempre sospesi nel blu, qualche volta aggrappati alle nuvole. Il cielo sopra Roma diventa solo mio".
Max: il 20 aprile 2013
Quel toro lì ricorda quello sul lungofiume di Torino, incredibilmente rubato qualche tempo fa... è certo un elemento di "arredo urbano" ma, per quel che dicevo, io ritrovo Roma anche in quel piccione posato su una mano sospesa nel vuoto del tempo, tra il marmoreo e l'incarnato.